Due piedi, un’unica mente

(estratto da: THICH NHAT HANH, Buddha Mind, Buddha Body, ed. it.: Camminando con il Buddha, Mondadori 2009, cap. 1)


(…) Nel buddhismo, camminare è una forma importante di meditazione. In effetti può essere una pratica spirituale molto profonda. Quando camminava, il Buddha lo faceva senza sforzo, semplicemente godeva di camminare; non aveva bisogno di sforzarsi perché quando si cammina in presenza mentale si è in contatto con tutte le meraviglie della vita che si hanno dentro di sé e intorno a sé. È questo il modo migliore di praticare: praticare senza far vedere che stiamo praticando. Non si fa nessuno sforzo, non si lotta, semplicemente si gode di camminare – ma è qualcosa di molto profondo. (…)
A molti di noi riesce difficilissimo immaginare una pratica priva di sforzo, nel piacere rilassato della consapevolezza. Succede perché non camminiamo con i piedi: certo, fisicamente sono i nostri piedi a camminare, ma la mente è altrove, dunque non stiamo camminando con l’intero corpo e con l’intera coscienza. Consideriamo mente e corpo due cose separate: il corpo sta camminando in una direzione, la coscienza ci trascina in una direzione diversa.
Per il Buddha la mente e il corpo sono due aspetti della stessa entità. Camminare è semplice come mettere un piede davanti all’altro, eppure spesso lo troviamo difficile o noioso; invece di camminare prendiamo la macchina per percorrere pochi isolati, “per risparmiare tempo”. Quando capiamo quanto corpo e mente siano interconnessi, la semplice azione di camminare come faceva il Buddha può essere estremamente facile e piacevole.
Camminare come un buddha
Puoi fare un passo ed entrare in contatto con la terra in modo da stabilirti nel momento presente: così arrivi nel “qui e ora”. Non occorre fare alcuno sforzo: i piedi toccano la terra in consapevolezza portandoti subito nel qui e ora. Sei libero, all’improvviso – libero da tutti i progetti, da tutte le preoccupazioni, da tutte le aspettative: sei pienamente presente, pienamente vivo, in contatto con la terra.
Quando pratichi da solo la meditazione camminata lenta puoi provare a fare così: inspira e fai un passo, concentrando tutta l’attenzione sulla pianta del piede; non fare il passo successivo finché non sei pienamente arrivato, finché non sei nel qui e ora al cento per cento, puoi concederti il lusso di fare così. Poi, quando sei certo di essere arrivato al cento per cento nel qui e ora, in contatto profondo con la realtà, sorridi e fai il passo successivo. Quando cammini in questo modo imprimi sul terreno la tua stabilità, la tua solidità, la tua libertà, la tua gioia. Il piede che posi è come un sigillo, il sigillo dell’Imperatore. Il sigillo imprime un segno su un foglio di carta. Che cosa vediamo, osservando la nostra impronta? Vediamo il marchio della libertà, il marchio della solidità, il marchio della felicità, il marchio della vita. Sono sicuro che sei capace di fare un passo di questo genere, perché in te c’è un buddha; è quella che si chiama “natura di buddha”, ossia la capacità di essere consapevoli di quello che sta accadendo. “Quel che accade ora è che sono vivo e sto facendo un passo”. Una persona, un essere umano, un homo sapiens dovrebbe esserne in grado: in ognuno di noi c’è un buddha, dovremmo lasciare che sia lui a camminare.
Anche nella situazione più difficile puoi camminare come un buddha [come un essere risvegliato]. L’anno scorso, in marzo, durante il viaggio in Corea ci fu un momento in cui ci ritrovammo circondati e bloccati da centinaia di persone, ognuna con in mano una macchina fotografica, che ci chiudevano la strada. Non c’era spazio per camminare, tutti ci puntavano addosso la macchina fotografica, una situazione difficilissima in cui fare una meditazione camminata! Allora dissi: «Caro Buddha, mi arrendo; cammina tu per me!» – e subito arrivò il Buddha e si mise a camminare in totale libertà; la folla si aprì a fare spazio al Buddha che camminava senza alcuno sforzo.
Se vi trovate in una situazione difficile fate un passo di lato e lasciate che il buddha che è in voi [il vostro lato risvegliato] prenda il vostro posto. Funziona in tutte le situazioni; l’ho provato. È come al computer, quando ci si imbatte in un problema: sei lì che cerchi di uscirne senza riuscirci; arriva tuo fratello maggiore, che è molto bravo col computer, dice «Spostati un po’, ci penso io» e appena si siede va tutto a posto. È proprio così: quando ti trovi in difficoltà, ritirati e lascia che il buddha in te prenda il tuo posto. È facilissimo e per me funziona sempre. Devi avere fede nel tuo buddha interiore e lasciare che sia lui a camminare. (…)

Camminando in questo modo diventi un buddha, diventi un bodhisattva pieno d‘amore, di comprensione e di compassione.1

1 Qui e in tutto il libro il termine “compassione” va inteso nella sua accezione originaria ed etimologica di “provare sentimenti insieme” (cum patior), senza quella sfumatura di superiorità e di pietismo che ha preso nell’uso corrente in italiano. “Bodhisattva” in sanscrito significa “essere risvegliato”. (NdT)